La tristezza e la gioia fanno parte della vita quotidiana e vanno distinte dalla depressione clinica e dall'euforia patologica. La tristezza, o depressione normale, è una risposta universale dell'uomo alle sconfitte, alle delusioni e ad altre avversità; tale risposta può essere di tipo adattativo, permettendo un ritiro che preservi le risorse interiori. La depressione passeggera si può avere come reazione ad alcune festività o anniversari significativi, durante la fase premestruale e nelle prime 2 sett. dopo un parto. Tali reazioni non sono anormali, sempre che non siano troppo intense o non durino troppo a lungo.
Il cordoglio (lutto normale), prototipo della depressione reattiva, si presenta in risposta a separazioni e perdite significative (p. es., morte, separazione coniugale, delusioni amorose, abbandono dell'ambiente familiare, emigrazione forzata, catastrofi civili). Il cordoglio può manifestarsi con sintomi d'ansia come insonnia, agitazione, iperattività del sistema nervoso autonomo. Analogamente ad altre avversità, in genere le separazioni e le perdite non causano una depressione clinica, eccetto che nelle persone predisposte a un disturbo dell'umore.
L'euforia, di solito legata al successo e al raggiungimento di obiettivi, è a volte considerata come una difesa contro la depressione o come negazione del dolore di una perdita (p. es., una rara forma di reazione al lutto in cui un'iperattività euforica può sostituire completamente il più prevedibile cordoglio). Nei soggetti predisposti, tali reazioni possono condurre alla mania. Una depressione paradossa può far seguito a eventi positivi, probabilmente perché le maggiori responsabilità a essi associate spesso vanno affrontate da soli.
Si pone diagnosi di depressione o di mania quando la tristezza o l'euforia sono eccessivamente intense e permangono oltre l'impatto prevedibile di un evento vitale stressante oppure insorgono in assenza di un fattore stressante. I sintomi e i segni spesso si raggruppano in sindromi distinte che di solito recidivano o, più raramente, perdurano senza remissione. La depressione e la mania cliniche, a differenza delle reazioni emotive normali, causano una marcata compromissione delle funzioni fisiche, sociali e della capacità lavorativa.
Depressione Unipolare
La depressione Unipolare si può manifestare a diversi livelli di intensità. La forma più intensa, quella identificata come depressione, è denominata depressione maggiore.
Si tratta di un disturbo dell’umore caratterizzato principalmente da:
- umore depresso o tristezza per la maggior parte del giorno;
- ridotta capacità di trarre piacere dalle attività che in passato procuravano gioia e soddisfazione;
- senso di fatica e sensazione di non farcela nelle attività quotidiane;
- sensi di colpa, autocritica, autosvalutazione e sensazione di essere un fallito;
- mancanza di speranza e pianto;
- pensieri negativi e idee di morte;
- irritabilità;
- difficoltà a prestare attenzione, a concentrarsi e a prendere decisioni;
- sonnolenza e aumento della durata del sonno;
- risvegli notturni angosciosi, con difficoltà a riprendere sonno;
- inappetenza o, in rari casi, aumento dell’assunzione di cibo;
- ridotto desiderio sessuale.
Non è necessario presentare tutti questi sintomi per ricevere una diagnosi di depressione maggiore. La sintomatologia tipicamente è più intensa al mattino e migliora nel corso della giornata, ma vi sono delle eccezioni.
La depressione può manifestarsi con diversi livelli di gravità. Alcune persone presentano sintomi depressivi di bassa intensità, legati ad alcuni momenti di vita, mentre altre si sentono così depresse da non riuscire a svolgere le normali attività quotidiane. Le forme gravi sono caratterizzate da un numero più elevato di sintomi, una maggiore intensità e durata nel tempo della sintomatologia ed una maggiore compromissione delle attività quotidiane.
Si tratta di uno dei disturbi psicologici più diffusi nella popolazione e può colpire chiunque, indipendentemente dall’età, dal sesso, dal livello culturale e dallo status socioeconomico. Dagli studi scientifici emerge che si manifesta maggiormente nelle donne rispetto agli uomini: compare nel 25% delle donne e nel 12% degli uomini. Questa differenza sembra essere dovuta al fatto che le donne, rispetto agli uomini, hanno più frequentemente sentimenti di tristezza, sono più autocritiche e vengono maggiormente educate ad essere dipendenti. Gli uomini, invece, sembrano reagire ai vissuti depressivi soprattutto con comportamenti disfunzionali quali, ad esempio, l’uso di alcol e di droghe.
Chi ha avuto un episodio di depressione, rispetto a chi non l’ha mai sperimentato, ha maggiori probabilità di presentare altri episodi depressivi nel corso della sua vita.
Come si manifesta la depressione
Sentirsi depressi significa vedere il mondo attraverso degli occhiali con delle lenti scure: tutto sembra più opaco e difficile da affrontare, anche alzarsi dal letto al mattino o fare una doccia.
Molte persone depresse hanno la sensazione che gli altri non possano comprendere il proprio stato d’animo e che siano ottimisti inutilmente.
Più specificamente, la depressione si manifesta attraverso parecchi sintomi di tipo fisico, emotivo, comportamentale e cognitivo.
I sintomi fisici più comuni sono la perdita di energie, il senso di fatica, i disturbi della concentrazione e della memoria, l’agitazione motoria ed il nervosismo, la perdita o l’aumento di peso, i disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), la mancanza di desiderio sessuale, i dolori fisici, il senso di nausea, la visione offuscata, l’eccessiva sudorazione, il senso di stordimento, l’accelerazione del battito cardiaco e le vampate di calore o i brividi di freddo.
Le emozioni tipiche sperimentate da chi è depresso sono la tristezza, l’angoscia, la disperazione, il senso di colpa, il vuoto, la mancanza di speranza nel futuro, la perdita di interesse per qualsiasi attività, l’irritabilità e l’ansia.
I principali sintomi comportamentali invece, risultano la riduzione delle attività quotidiane, la difficoltà nel prendere decisioni e nel risolvere i problemi, l’evitamento delle persone e l’isolamento sociale, i comportamenti passivi, la riduzione dell’attività sessuale e i tentativi di suicidio.
Le persone che soffrono di depressione, inoltre, presentano un modo di pensare caratterizzato da regole o “filosofie di vita” disadattive, aspettative irrealistiche e pensieri spontanei negativi su se stessi, sul mondo e sul futuro (sintomi cognitivi). Le regole o “filosofie di vita” di queste persone risultano assolute, rigide e, quindi, non adattive (assunzioni disadattive). Chi ha la depressione fa riferimento a dei “doveri” che sente di dover assolvere per rispettare i propri valori (es. “Non posso sbagliare mai!”, “Se non piaccio a qualcuno, non posso essere amato!”, “Se fallisco in qualcosa vuol dire che sono un fallito!”, “Se ho un problema da parecchio tempo significa che non potrò mai risolverlo!”, “Non posso essere debole!”).
Chi soffre di depressione, inoltre, generalmente presenta aspettative irrealistiche: ha degli standard eccessivamente elevati sia nei confronti di se stesso, che degli altri. Crede, ad esempio, che fare errori sia assolutamente vietato, che non si possano avere conflitti e che bisogna essere sempre di buon umore. Altre persone depresse, invece, ritengono di non meritare nulla e accettano tutto quello che viene offerto loro senza ricercare qualcosa di migliore.
I pensieri spontanei che passano per la mente delle persone depresse, infine, generalmente rispecchiano la visione negativa che queste persone hanno di sé, del mondo e del futuro (pensieri automatici negativi). Chi ha concezioni negative di sé, del mondo e del futuro, ne amplifica gli aspetti negativi e minimizza quelli positivi. Ad esempio, chi ha una concezione negativa di sé si focalizza solo sui propri difetti e si percepisce non amabile, incapace, fallito, stupido, brutto, debole o cattivo. Tipici esempi di pensieri automatici negativi sono: “Sono un totale fallimento!” (pensiero negativo su di sé); “Mia madre mi considera un perdente!” (pensiero negativo relativo a quello che qualcun altro può pensare di noi); “Di sicuro risulterò antipatico!” (predizione negativa); “Niente va bene!” (pensiero negativo sul mondo); “Quello che ho fatto non conta, tutti sarebbero in grado di farlo!” (minimizzazione dei propri successi o delle proprie qualità).
Ci sono, inoltre, alcuni comportamenti tipici delle persone depresse che favoriscono lo sviluppo di circoli viziosi e che, dunque, mantengono nel tempo l’umore depresso. Questi comportamenti, riducendo la produttività lavorativa, il contatto con nuove esperienze e le attività ricreative, riducono anche la probabilità di provare emozioni piacevoli e di modificare le idee negative su se stessi, sul mondo e sul futuro. Alcune persone depresse, ad esempio, sperimentando molta fatica nell’affrontare le incombenze quotidiane (es. pagare le bollette, chiamare l’idraulico, far revisionare l’automobile), iniziano a rimandarle; in questo modo iniziano a sentirsi maggiormente incapaci e fallite. Questo evitamento mantiene la depressione in quanto non permette alla persona né di sperimentare brevi stati mentali positivi (es. un leggero senso di efficacia personale), né di verificare che, nella realtà, non è così incapace come pensa di essere. Spesso accade anche che le persone depresse, provando apatia e disinteresse per quasi tutto, smettano di uscire, evitino il contatto con le altre persone e trascorrano molto tempo libero in attività passive come guardare la televisione e stare a letto, rimuginando sui propri problemi ed assillando amici e conoscenti riguardo ad essi. Anche tali comportamenti mantengono la depressione in quanto impediscono alla persona di vivere esperienze gratificanti. Un ulteriore esempio dei modi in cui la depressione si mantiene è dato da coloro che, non riconoscendo i propri successi e non gratificandosi per essi, perpetuano l’insoddisfazione verso di sé.
Come capire se si soffre di depressione
Può capitare a tutti, qualche volta, di essere un po’depressi, ma ciò non significa che tutti necessitano di un trattamento. Come si fa a capire se abbiamo bisogno o meno di un aiuto terapeutico?
Non è patologico avere delle leggere fluttuazioni dell’umore. La tristezza, se non è troppo intensa, può anche essere utile alla persona: porsi domande sul perché siamo tristi, ad esempio, può condurci a capire se abbiamo bisogno di qualcosa e può spingerci a trovare delle soluzioni ai nostri problemi.
La depressione necessita di un intervento clinico quando i suoi sintomi sono molto intensi, provocano una forte sofferenza e durano da molto tempo (più di 6 mesi). Nella depressione “clinica”, inoltre, sono presenti autocritica, sensi di colpa, disperazione, mancanza di speranza verso il futuro, pessimismo eccessivo e pensieri di morte. La depressione vera e propria rappresenta, quindi, qualcosa di molto più intenso e duraturo rispetto al semplice sentirsi “un po’ giù di tono”.
Per sapere se una persona è “clinicamente” depressa, inoltre, bisogna prendere in considerazione i motivi e le cause della sua depressione. Sentirsi molto tristi e privi di energia, avere sentimenti di vuoto, sentire di aver perso ogni interesse verso il mondo esterno dopo aver perso una persona cara (es. separazione, divorzio, lutto) è una reazione naturale, coerente con l’esperienza che stiamo vivendo e, nella maggior parte dei casi, transitoria. La depressione conseguente ad una separazione o ad un lutto, quindi, non è un disturbo psicologico; questa va trattata clinicamente se non si risolve spontaneamente in un arco di tempo che può andare dai 6 ai 12 mesi (lutto complicato).
Dal momento che è possibile riscontrare sintomi depressivi anche in altri disturbi psicologici, è opportuno fare alcune distinzioni tra la depressione ed altre condizioni che possono assomigliarle.
Tuttavia, per ricevere una diagnosi seria ed accurata è necessario rivolgersi a persone qualificate.
Nel disturbo bipolare, ad esempio, si presentano dei periodi di depressione, ma alle fasi depressive si alternano delle fasi dette di eccitamento maniacale, in cui ci si sente molto ottimisti e pieni di energia.
La depressione va distinta anche dal disturbo schizoaffettivo e dalla schizofrenia, in cui, oltre ai sintomi depressivi, sono presenti deliri e allucinazioni.
I sintomi depressivi, infine, possono essere dovuti ad alcune condizioni mediche generali (es. ictus, morbo di Parkinson, demenze, sclerosi multipla) o all’assunzione di sostanze come droghe, alcool e farmaci. In particolare la depressione può derivare dall’astinenza dalla cocaina e da alcolici.
Cause
Non esiste una causa unica della depressione: alla base del disturbo vi sarebbero diversi fattori di tipo biologico, ambientale e psicologico.
Alcuni studi hanno dimostrato che vi è una componente genetica (fattori biologici) che può favorire o meno lo sviluppo di un quadro depressivo. Una certa tendenza alla depressione, quindi, può essere ereditaria. I soli fattori biologici, tuttavia, non spiegano lo sviluppo della patologia. Dalle ricerche scientifiche emerge, infatti, che se un gemello è depresso, l’altro gemello, dotato dello stesso corredo genetico, ha una probabilità di sviluppare sintomi depressivi del 50-70%, non del 100%.
Tra gli altri fattori che possono influenzare lo sviluppo di un quadro depressivo ci sono quelli ambientali: l’educazione ricevuta, gli eventi vissuti all’interno della famiglia e quelli vissuti fuori della famiglia (es. esperienze scolastiche e con gli amici). In particolare, sembra che alcune esperienze precoci negative possano facilitare lo sviluppo di una vulnerabilità acquisita alla depressione e un senso di mancanza di speranza verso il futuro. Ad esempio, chi ha perso la madre prima dei tredici anni di età sembra abbia più probabilità di sviluppare questo disturbo. Alcune situazioni stressanti, inoltre, contribuirebbero sia a scatenare, che a mantenere nel tempo i sintomi depressivi. Tra questi fattori di rischio e di mantenimento, i principali risultano:
- perdite importanti (es. perdere il lavoro, un’amicizia, il partner);
- diminuzione delle attività gratificanti (es. svolgere un lavoro che piace di meno rispetto a quello precedente);
- mancanza di relazioni sociali (es. trasferirsi in una città dove non si conosce nessuno);
- richieste nuove dell’ambiente esterno (es. cambiare mansione lavorativa, diventare genitore);
- problemi di gestione della propria vita (es. essere disoccupato, avere problemi economici).
I sintomi depressivi, infine, possono derivare anche dal continuo contatto con situazioni dove è impossibile controllare l’esito degli eventi. In questi casi possiamo sentirci tristi, stanchi, senza più alcun interesse e senza speranza perché abbiamo appreso che in alcun modo il nostro comportamento può influire sugli eventi, che non ci è possibile migliorare le cose, che gli eventi negativi sono incontrollabili. Interpretazioni di questo tipo possono verificarsi in presenza di esperienze frustranti transitorie (es. difficoltà lavorative, crisi in relazioni significative) o di circostanze di vita continuativamente sfavorevoli (es. aver perso un genitore in tenera età, avere un figlio disabile, prendersi cura di persone anziane affette da demenza).
Le cause elencate, tuttavia, non costituiscono dei fattori che necessariamente provocano la depressione. Nell’insorgenza del quadro depressivo, infatti, riveste un ruolo cruciale il modo in cui la persona interpreta gli eventi e mobilita le risorse per far fronte ad essi (fattori psicologici). Ad esempio, si può perdere una persona cara e, dopo un periodo iniziale di sofferenza, reagire all’evento aumentando i comportamenti di autocura, migliorando le proprie relazioni interpersonali e definendo nuovi obiettivi personali. Al contrario si può pretendere da se stessi comportamenti perfetti, rimproverarsi in modo eccessivo per piccoli errori e autopunirsi, favorendo, così, il mantenimento dell’umore depresso.
Conseguenze della depressione
La depressione può avere importanti ripercussioni sulla vita di tutti i giorni.
L’attività scolastica o lavorativa della persona può diminuire in quantità e qualità soprattutto a causa dei problemi di concentrazione e di memoria che tipicamente presentano i soggetti depressi.
Questo disturbo, inoltre, porta al ritiro sociale, che, col passare del tempo, a sua volta porta a problemi di tipo relazionale con partner, figli, amici e colleghi.
L’umore depresso condiziona anche il rapporto con se stessi e con il proprio corpo. Tipicamente, infatti, chi è depresso ha difficoltà a lavarsi, curare il proprio aspetto, mangiare e dormire in modo regolare.
Differenti tipi di trattamento
Negli ultimi anni sono stati individuati diversi tipi di trattamenti per la cura della depressione. Dagli studi scientifici emerge che attualmente le cure più efficaci per la depressione sono il trattamento farmacologico, la psicoterapia interpersonale e la psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Non ci sono prove di efficacia che indicano che uno di questi trattamenti è migliore rispetto all’altro: trattamenti differenti e combinazioni di questi possono essere più o meno adatti a seconda delle esigenze personali e cliniche del soggetto. Le psicoterapie e i trattamenti combinati (psicoterapia associata alla farmacoterapia), comunque, risultano essere più efficaci nella prevenzione delle ricadute rispetto al solo trattamento farmacologico.
Il trattamento farmacologico della depressione si rivela cruciale soprattutto nei casi in cui il disturbo si presenta in forma grave. I farmaci maggiormente utilizzati per la cura della depressione sono il prozac, il paxil, lo zoloft, l’effexor, il tofranil, il wellbutrin, l’elavil, il nardil, il parnate e il litio. Per verificare quali siano gli effetti dei farmaci è necessario attendere tra le 2 e le 4 settimane. In alcuni casi possono presentarsi degli effetti collaterali, alcuni dei quali possono diminuire nel corso del trattamento. È importante ricordare che la prescrizione dei farmaci può essere fatta solo da un medico, meglio se psichiatra.
La terapia interpersonale (IPT) è, insieme alla terapia cognitivo-comportamentale, la psicoterapia più efficace nella cura della depressione. Si tratta di una psicoterapia breve (12-16 sedute) che si focalizza sui sintomi attuali del paziente, sugli eventi della sua vita e sui suoi rapporti interpersonali. Secondo questa prospettiva, infatti, le componenti della depressione sono la formazione del sintomo, il funzionamento sociale e le caratteristiche di personalità. L’obiettivo specifico dalla terapia interpersonale è il funzionamento sociale, che influirebbe positivamente sulla formazione dei sintomi; a causa della brevità del trattamento, non si interviene sulla personalità. Questo tipo di terapia attualmente non è molto diffuso in Italia.
Nei casi in cui il quadro depressivo risulti particolarmente grave, è necessario ricorrere a più trattamenti contemporaneamente (es. interventi di supporto, psicoterapia, farmacoterapia) e, eventualmente, a ricoveri ospedalieri.
Il trattamento cognitivo-comportamentale
Come accennato, la terapia cognitivo-comportamentale, insieme alla terapia interpersonale, è la psicoterapia più efficace nella cura della depressione. Diversi studi evidenziano che circa il 75% dei pazienti depressi ha una significativa diminuzione dei sintomi entro le prime 20 sedute di psicoterapia. Nel caso in cui alla psicoterapia è associato un trattamento farmacologico, la riduzione della sintomatologia si verifica nell’85% dei casi. E’ stato anche dimostrato che questi miglioramenti sono durevoli nel tempo.
Secondo l’approccio cognitivista, i pensieri e le convinzioni negative su di sé, sul mondo e sul futuro hanno un ruolo chiave nell’esordio e nel mantenimento della depressione. Nella cura di questo disturbo, dunque, la terapia cognitivo-comportamentale si focalizza soprattutto sui modi in cui il soggetto interpreta gli eventi che accadono, vi reagisce e valuta sé stesso. Il terapeuta cognitivista si propone di aiutare il paziente ad identificare e modificare i pensieri e le convinzioni negative che ha su se stesso, sul mondo e sul futuro, ricorrendo a numerose e specifiche tecniche cognitivo-comportamentali. Il cambiamento nel modo di pensare porterà ad una regolazione del tono dell’umore e a modificazioni dei sintomi, che a loro volta influiranno positivamente sui pensieri. In modo simile, la modificazione di alcuni comportamenti problematici (es. isolamento sociale) avrà un effetto benefico sui pensieri e sulle emozioni della persona. In questo modo è possibile interrompere i circoli viziosi che mantengono la depressione nel tempo.
Depressione Bipolare
Il disturbo bipolare, anche conosciuto come malattia maniaco depressiva o come psicosi maniaco depressiva, è un disturbo mentale caratterizzato da oscillazioni insolite del tono dell’umore e della capacità di funzionamento della persona.
Per comprendere meglio la variabilità del tono dell’umore, immaginiamo che sia costituito da tre vettori: l’umore, il flusso delle idee ed il comportamento motorio. Se ci figuriamo questi tre vettori rivolti verso il basso, avremo un umore depresso, un rallentamento dei pensieri e poca voglia ed energia nel muoversi, cioè lo stato depressivo. Se, invece, ci rappresentiamo i tre vettori orientati verso l’alto avremo un umore esaltato, una grandissima quantità di idee e l’iperattività motoria, ossia lo stato dell’umore che viene definito maniacale. Nei casi in cui uno dei vettori è orientato in senso diverso rispetto agli altri avremo, infine, lo stato misto.
Il disturbo bipolare è caratterizzato, infatti, dall’alternanza di uno stato depressivo e uno maniacale (o ipomaniacale); quando la persona transita in modo non definitivo da uno stato all’altro (cioè non è completamente depresso né completamente in mania) si può presentare, invece, lo stato misto.
Non bisogna, però, confondere quelli che comunemente sono definiti “alti e bassi”, che ognuno di noi può avere nel corso della propria vita quotidiana, con le severe manifestazioni del disturbo bipolare, che possono, invece, rovinare i rapporti interpersonali, causare la perdita del lavoro e, in casi estremi, esitare in comportamenti suicidari.
Il disturbo bipolare può essere curato; la cura del disturbo deve essere condotta da specialisti che conoscono bene tale malattia. Questa malattia è totalmente compatibile con una vita normale e produttiva, ma le cure cui ci si sottopone molto frequentemente durano per tutta la vita. Alla stessa stregua delle malattie cardiologiche e del diabete, infatti, il disturbo bipolare è una malattia di lunga durata che deve essere controllata costantemente durante vita della persona.
Nella gran parte dei casi la malattia non viene riconosciuta con facilità e le persone possono star male per anni prima di ricevere una corretta diagnosi e un adeguato trattamento.
Circa il 2.5% della popolazione ha un disturbo bipolare. Tipicamente il disturbo si sviluppa nella tarda o nella prima età adulta.
Come si manifesta il disturbo bipolare
Nel disturbo bipolare sono presenti episodi depressivi e maniacali (o ipomaniacali).
I sintomi della depressione sono molto noti e conosciuti: umore depresso, pensieri orientati verso la depressione (es. “Non ce la farò mai!”;“Non c’è più speranza!”), sensazione di fatica e scarso senso soggettivo di energia, sensazione di non farcela nelle attività quotidiane, peggioramento dei sintomi tipicamente al risveglio (anche se vi sono delle eccezioni), risvegli notturni molto angosciosi con difficoltà a riprendere il sonno, idee di morte, mancanza di speranza, inappetenza o in rari casi iperfagia, ridotta capacità di trarre piacere dalle attività che in passato procuravano gioia e soddisfazione, sensazione che gli altri possano non comprendere tale situazione e che siano ottimisti inutilmente, ridotto desiderio sessuale, difficoltà concentrarsi e a prestare attenzione, irritabilità.
E’ molto importante distinguere la depressione dalla tristezza, che non è una malattia, ma un sano sentimento umano, come anche la depressione dalla reazione psicologica ad un lutto (che non è necessariamente la morte di qualcuno, ma anche una perdita affettivamente significativa). La persona in quest’ultimo caso, infatti, risponde molto positivamente alle sollecitazioni, ad esempio se siamo a lutto e un amico ci propone una passeggiata, anche se con difficoltà e fatica, riusciamo a beneficare della presenza dell’altro e della attività proposta. Chi è depresso e viene sollecitato, invece, ha molto di frequente un peggioramento transitorio e non riesce a godere in nessun modo della proposta. Chi ha un lutto, inoltre, al contrario di chi è depresso, mantiene la risposta all’humour.
La mania, invece, si manifesta in modo abbastanza eclatante, anche se con gradazioni diverse. I sintomi: umore elevato espansivo percepito dagli altri come inusuale, comportamenti molto disinibiti, facilità estrema a spendere del denaro, a fare acquisti, sensazione di energia quanto mai intensa e di senso di infaticabilità, allegria, iperattenzione ma con distraibilità, capacità di iniziare contemporaneamente tante attività ma con scarsa capacità di portarle a termine, comportamenti aggressivi e impulsivi con gravi conseguenze sia lavorative che personali, incremento della irrequietezza, essere eccessivamente sopra le righe, eccessivo buon umore euforico, estrema irritabilità, aumento della velocità dei pensieri, saltando da un'idea ad un'altra, enorme distraibilità, ridotto bisogno di sonno, fiducia non realistica nelle proprie capacità, bassa capacità di giudizio, spese incredibili, comportamento sessuale aumentato, abuso di droghe, specialmente cocaina, alcool e farmaci, comportamento provocatorio, intrusivo o aggressivo. Si parla di episodio maniacale se i sintomi persistono per più di settimana.
L’ipomania, infine, è uno stato alterato dell’umore meno intenso rispetto allo stato maniacale. E’ necessario, tuttavia, differenziare la ipomania dalla felicità, in quanto la prima è percepita dagli altri come inusuale, non è collegata agli eventi di vita, si presenta con instabilità del tono dell’umore ed il soggetto presenta una storia di depressione. Comunemente si distinguono due forme di disturbo bipolare:
- il disturbo bipolare di tipo I, caratterizzato da episodi depressivi e episodi maniacali;
- il disturbo bipolare di tipo II, caratterizzato da episodi depressivi e episodi ipomaniacali. Akiskal e Pinto, basandosi sulla pratica clinica, distinguono, invece, sette tipi di disturbo bipolare:
- Bipolare I (depressione e mania)
- Bipolare I e ½ (depressione e ipomania protratta)
- Bipolare II (depressione e ipomania)
- Bipolare II e ½ (depressione ciclotimia)
- Bipolare III (ipomania farmacologica)
- Bipolare III e ½ (bipolarità associata all’uso di stimolanti)
- Bipolare IV (depressione e temperamento ipertimico)
Quando quattro o più episodi della malattia si presentano durante un periodo di 12 mesi, si parla, di disturbo bipolare a cicli rapidi. Alcune persone possono soffrire di vari cicli in una singola settimana o persino in un singolo giorno. I cicli rapidi si sviluppano più tardi nel corso della malattia e sono più comuni fra le donne che fra gli uomini.
A volte, gli episodi severi di mania o di depressione includono i sintomi psicotici. Tra questi i più comuni sono le allucinazioni (es. udire delle voci che nessuno sente, sentire degli odori che nessuno sente) e i deliri. I sintomi psicotici nel disordine bipolare tendono a riflettere la fase dell'umore. Per esempio, i deliri di grandezza, come credere uno di essere un personaggio importante, possono verificarsi durante la mania; i deliri di colpa, come credere che uno sia rovinato e abbia commesso un certo crimine terribile, possono comparire durante la depressione.
Alcuni pazienti con disturbo bipolare, inoltre, possono mettere in atto dei tentativi di suicidio. Chiunque stia pensando al suicidio deve rivolgersi immediatamente all'attenzione di un sanitario, preferibilmente un medico psichiatra o uno psicologo. E’ importante ricordare che chi parla di suicidio dovrebbe essere preso seriamente in considerazione. Il rischio per il suicidio è più alto all’inizio della malattia quando ancora il soggetto non ha chiaro di cosa soffra e come affrontare la sofferenza. Quindi prima si riconosce il disturbo bipolare prima si imparerà a gestirlo e a chiedere aiuto nel momento giusto.
Come sapere se si soffre di disturbo bipolare
Di solito chi soffre di disturbo bipolare si rivolge al medico o allo psicologo quando è in fase depressiva, disperato per la propria condizione, e molto frequentemente omette di riferire di avere avuto delle fasi di malattia caratterizzate da umore elevato o mania. Per tale ragione è molto opportuno che chi si rivolge ad un professionista per la prima volta e si trovi in una severa fase di depressione possa avvalersi dell’aiuto di un familiare per ricostruire le eventuali varie fasi della patologia (quando il soggetto ha un episodio di mania la diagnosi è estremamente facile).
Per fare una corretta diagnosi è importante prestare attenzione ai sintomi, in quanto è possibile che una persona soffra di depressione senza fasi di eccitamento; tale tipo di depressione è definita depressione monopolare o depressione maggiore. Alcuni indizi possono essere di aiuto per capire se che si tratta di disturbo bipolare piuttosto che monopolare: avere un familiare affetto da disturbo bipolare o da disturbi dell’umore, avere una depressione caratterizzata da sintomi molto gravi come deliri, avere avuto nella propria vita un temperamento sempre molto brillante e una capacità di lavoro straordinaria, con poca suscettibilità alla fatica, prima dell’episodio di depressione.
Chi soffre di disturbo bipolare ed ha sintomi psicotici riceve a volte, in modo errato, la diagnosi di schizofrenia, un'altra malattia mentale severa, e quindi può essere sottoposto anche a trattamenti sbagliati. Possiamo, tuttavia, riconoscere se i sintomi psicotici sono la conseguenza di un disturbo bipolare o se indicano la presenza di un disturbo psicotico (es. schizofrenia), in quanto nel disturbo bipolare i deliri e le allucinazioni, come precedentemente detto, tendono a riflettere la fase dell'umore.
E’ possibile, anche se molto raramente, porre diagnosi di disturbo bipolare anche in età pediatrica: in questi casi è necessaria un’accurata valutazione per distinguere tale condizione dal disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, o da altre patologie dell’infanzia.
Cause del disturbo bipolare
La ricerca è al lavoro con moltissimi studi. La gran parte della comunità scientifica è concorde per una ipotesi multifattoriale nella genesi della malattia.
Il disturbo bipolare è molto frequente in alcune famiglie in cui molti membri all’interno hanno la malattia o alcuni tratti. Questa evidenza segnala la importanza dei fattori genetici su cui però non si ha ancora una risposta definitiva. I geni, lo ricordiamo, aumentano la possibilità di sviluppare la malattia ma non la generano direttamente e non si può affermare in alcun modo che avere i geni della malattia significa di sicuro ammalarsi. Studi su gemelli indicano che se uno dei due gemelli è malato l’altro ha 6 volte in più la probabilità di sviluppare la malattia. In aggiunta, i dati di ricerca ci dicono che il disturbo bipolare non è causato (come anche le altre malattie mentali) da un singolo gene.
Conseguenze
Le manifestazioni del disturbo bipolare sono severe e possono rovinare i rapporti interpersonali, causare la perdita del lavoro e, in casi estremi, esitare in comportamenti suicidari.
Differenti tipi di trattamento
La maggior parte delle persone con disturbo bipolare, anche affetta da forme gravi, può raggiungere un ottimo livello di stabilizzazione della malattia. Poiché il disturbo bipolare è una malattia ricorrente, è suggerito vivamente e quasi sempre è indicato un trattamento di lunga durata, anche life time.
Un trattamento che combini insieme farmacoterapia e il trattamento psicosociale (psicoterapia e igiene di vita) è ottimale per il controllo del disturbo nel tempo. Nella maggior parte dei casi, il disturbo bipolare risponde meglio a trattamenti continui piuttosto che intermittenti. A volte, però, anche senza interrompere il trattamento, possono verificarsi dei cambiamenti di umore, che dovrebbero essere segnalati immediatamente al proprio medico.
Il concetto importante per il trattamento di questa patologia è che non deve essere trattato l’episodio (depressivo o maniacale) ma deve essere trattata la malattia.
Il disturbo bipolare si tratta, infatti, con dei farmaci, gli stabilizzatori del tono dell’umore, che evitano la ricorrenza delle oscillazioni del tono dell’umore. Il migliore risulta il litio carbonato, in particolare per il trattamento della mania. Vengono utilizzati anche farmaci anticonvulsivanti che hanno l’effetto di stabilizzare l’umore:
- il valproato sodico (Depakin, Depamag), efficace nel trattamento della mania e degli stati misti;
- la carbamazepina (Tegretol®), efficace nel trattamento della mania;
- la lamotrigina (Lamictal®), efficace nella prevenzione delle ricadute depressive.
Anche gli antipsicotici atipici hanno un enorme effetto sulla stabilizzazione del tono dell’umore; tra questi ci sono: l’ olanzapina (Zyprexa), il risperidone (Risperdal), la quetiapina (Seroquel) e la clozapina (Leponex).
E' quindi importante non somministrare antidepressivi a chi soffre di disturbo bipolare per prevenire gli switch nello stato maniacale o danni iatrogeni.
In aggiunta alla terapia farmacologica, la psicoterapia può essere molto di aiuto a chi soffre di tale disturbo. E’ bene precisare che la psicoterapia non può sostituire i farmaci e non è efficace da sola nella prevenzione delle ricadute e nel trattamento del disturbo. Molti studi, tuttavia, hanno indicato che gli interventi psicologici possono migliorare la stabilità dell’umore umore, ridurre le ospedalizzazioni e migliorare il funzionamento.
Il trattamento cognitivo-comportamentale
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è tra i trattamenti più utilizzati e si dimostra molto efficace nella cura di questo disturbo.
Gli interventi psicoterapeutici sono finalizzati ad aiutare il paziente a conoscere meglio il proprio funzionamento e ad accettarlo, a distinguere se stesso e la propria personalità dalla malattia, a migliorare la gestione dello stress e indirettamente, quindi, a ridurre i fattori di rischio di ricaduta.
Il protocollo cognitivo-comportamentale prevede, inoltre, la compilazione sistematica di una tabella dei sintomi quotidiani dell’umore, della quantità e qualità del sonno e del trattamento farmacologico assunto dal soggetto. Questa strumento può essere d’aiuto sia al paziente per aumentare la consapevolezza e la capacità di gestione del proprio disturbo, sia al medico per comprendere meglio l’andamento della sintomatologia e per impostare un trattamento più efficace.
L’approccio cognitivo-comportamentale prevede, infine, un trattamento psicoeducativo per il paziente ed i suoi familiari perché comprendano meglio le fasi della malattia.